Non siamo noi a dirlo o soltanto quei cattivoni dei politici che vogliono salvaguardare interessi di campanile e nient’altro. Ora siamo in buona compagnia, se anche i sei Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri delle province pugliesi hanno praticamente definito dissennato il cosiddetto piano di riordino ospedaliero, che, così come concepito e proposto, appartiene ad un disegno di macelleria sanitaria. E’ molto significativo il parere di questi soggetti che operano tutti i giorni nel settore della sanità, per cui legittimamente hanno qualche titolo in più per esprimersi sull’argomento. Il ragionamento di questi operatori della medicina parte dal presupposto che si azzera a tabula rasa tutto l’impianto ospedaliero, senza proporre nella realtà un piano alternativo che possa salvaguardare sul serio il diritto all’assistenza. E lo si fa nelle zone maggiormente deboli, in difficoltà, dove, al contrario, bisognerebbe rafforzare i presidi sanitari e ospedalieri, come si è sempre sostenuto. Inoltre, resettare indiscriminatamente le realtà presenti, significa anche annullare le eccellenze formatesi nel corso degli anni, col contributo professionale dei medici e degli operatori della sanità ai vari livelli. Non è che trasferendo le eccellenze si ottiene automaticamente il risultato dal preservarle dal progressivo decadimento, perché bisogna tener conto anche del bacino culturale e tradizionale entro cui le citate eccellenze sono nate, maturate e consolidate.
Di sicuro si ha immediatamente una dispersione di professionalità, che è difficile recuperare nel prosieguo di tempo. Quello che lamentano i medici pugliesi è anche l’assenza di un coordinamento con le realtà locali e con gli Ordini professionali, quasi per dire che si è pensato ossessivamente a ridurre i costi, operando in maniera lineare e trascurando le esigenze complessive dei territori interessati. Né si comprende come possano i presidi ospedalieri sopravissuti a recepire la domanda di ricovero e si assistenza, posto che già ora la situazione è allarmante, come per qualche aspetto dimostrano le liste di lunga attesa per ottenere una risposta dalle strutture destinatarie. Lo stesso nosocomio foggiano è praticamente collassato, per cui si registrano molti dirottamenti verso i presidi periferici e tra questi Lucera figura al primo posto, se in un anno si sono avuti ben duemila ricoveri provenienti dal capoluogo. Né si comprende come i tagli debbano pesare praticamente sul solo ospedale di Lucera, che pure, col primo riordino, ha già pagato il prezzo del ridimensionamento, ma salvando almeno i reparti di maggiore impatto popolare e di riconosciuta professionalità.
Dinanzi a queste argomentazioni, Nichi Vendola fa il poeta e si dimostra anche irritato quando interloquisce col sindaco Pasquale Dotoli, il quale giustamente gli rimprovera che per l’ospedale lucerino sta per consumarsi un vero omicidio, proprio da parte di quel tribuno che ogni giorno, a chiacchiere, si schiera a favore della parte più debole delle nostre popolazioni, per marcare così il suo senso di appartenenza ad una sinistra estrema, che di estrema ha solo la volontà di appropriarsi anche dei diritti della povera gente. In questo senso, bene hanno fatto quelli che alle elezioni regionali lo hanno appoggiato a cantargliene quattro, a muso duro, dichiarandosi del tutto delusi e amareggiati dal suo comportamento e dal suo procedere ingannevole. Quando Vendola, accolto col tappeto rosso e con i muri ripuliti per l’occasione, venne in visita elettorale a Lucera, noi esprimemmo tutte le nostre perplessità sulle sue assicurazioni: il governatore promise, col suo sorriso falsamente ammaliante, di far ancora progredire il “Lastaria”, facendo funzionare le eccellenze da traino per tutte le altre specialità. Come si può constatare oggi, siamo stati presi per i fondelli. Ancora una volta!
a.d.m.