La giustizia riguarda anche lo stato dell’economia e l’aspetto morale della vita sociale e non solo in senso stretto la cattiva amministrazione della macchina della legge penale e civile, come comunemente si è portati a credere. Riguarda pure l’economia e lo stato etico e morale di un Paese, che tale non può definirsi se la gestione della giustizia cosiddetta lumaca ci presenta arretrati pari a 680mila anni nella definizione delle vertenze e accumulato un debito di 340 milioni di euro verso le vittime che soffrono di tali ritardi. L’altro paradosso è che il Ministero non ha i fondi da rimborsare, per cui alla beffa si aggiunge un’altra beffa, con conseguenti altri slittamenti e contenziosi. Nella cifra sono compresi anche i ristori da riconoscere a quei soggetti finiti impietosamente agli arresti e, poi, assolti con formula piena. E’ quest’ultimo l’aspetto di un problema che scuote tante coscienze, ma per il quale il legislatore non riesce a trovare rimedio, pur un col senso bipartisan delle forze politiche. Quando venne riconosciuta la ingiusta detenzione, in relazione ad una legge approvata qualche anno fa, fu ritenuto che fosse il magistrato responsabile dell’incauto procedimento interdittivo. Ma, sapete chi paga? Non il magistrato responsabile, bensì lo Stato, cioè tutti noi nella cui cartella esattoriale è compreso, sotto forma di ulteriori tasse, l’esborso da riconoscere alle vittime della mala giustizia. La legge che ha introdotto la responsabilità civile del magistrato in verità era stata concepita con l’intento di accrescere la responsabilità e la cautela del magistrato stesso nel momento di adottare i provvedimenti coercitivi all’avvio delle indagini preliminari. Strada facendo, però, come spesso accade in Italia, la responsabilità personale del magistrato è stata confermata, ma col danno da liquidare a carico dello Stato!
A parte l’aspetto tecnico della questione, c’è un riflesso importante che passa un po’ in secondo piano. Sono gli effetti disastrosi che la mala giustizia e le sue lentezze produce sul quadro dell’economia nazionale. Spesso la questione riguarda il cosiddetto commerciale, come dire la vita delle aziende. Quando i rimborsi per gli indennizzi non arrivano o giungono in grave ritardo, ne risente fortemente la liquidità delle aziende, cioè della loro capacità di autofinanziarsi. Specie quando sono di entità modeste, più esposte alla necessità di ricorrere alla integrazione del fido bancario, che non sempre contempla l’anticipazione delle somme reclamate allo Stato. Quando la situazione si dilata oltre i limiti di compatibilità del quadro della finanza aziendale, questa è costretta ad una pesante ridimensionamento della sua programmazione, come dire del suo fatturato, e, se anche così non ce la fa, è obbligata a chiudere bottega. E i casi di cronaca di quest’ultimi tempi ce lo confermano. A tutto ciò, ovviamente, si deve aggiungere una tassazione da strangolamento, che spesso ingoia senza pietà i già modesti margini di utili. E che l’argomento sia importante, è confermato anche dai dati di rilevamento che ci dicono che questi ritardi incidono per punto nella determinazione del Pil nazionale. Al Sud le conseguenze sono ancor più rilevanti, perché solitamente la struttura delle sue aziende è in molti casi di suo molto debole, nel senso che si mantiene su un assetto finanziario di difficile equilibrio, per cui ogni ritardo produce inciampi talvolta mortali per la sopravvivenza dell’azienda.