Se il Mezzogiorno non decolla sarebbe anche colpa della dirigenza operante nelle strutture territoriali. Non v’è dubbio che la riforma strutturale della dirigenza, che porta il nome dell’onorevole Franco Bassanini, abbia determinato un profondo cambio di rapporti tra politica e dirigenza, un mutamento radicale di posizioni che avrebbe dovuto determinare una più proficua e leale collaborazione tra la parte politica e quella amministrativa/esecutiva. Così non è stato o non lo è stato completamente, per cui allo stato attuale si assiste spesso a dei veri bracci di ferro tra le due parti, che cercano reciprocamente un risultato di potere, di comando più che di sintesi alla ricerca della migliore soluzione dei problemi. Tale scollatura è maggiormente avvertita nelle entità territoriali di comunità piccole/medie, che risentano al loro interno di una presenza politica più pressante, quasi a divenire asfissiante per l’apparato burocratico. Detto questo, sarebbe ingiusto e fuorviante addebitare alla dirigenza tutte le colpe della defaillance di molti progetti, che talvolta sono presentati male nella fase di impostazione e sui quali il dirigente ha l’obbligo di pronunciarsi in termini di correttezza tecnica e procedurale. Va detto, per amore della verità, che spesso i dirigenti operano in una condizione precaria soprattutto nelle strutture comunali e provinciali, dove l’organico non sempre rispecchia criteri di qualificazione compatibili con l’entità dei problemi da affrontare.
Anche ancora va detto che vi è discrasia tra l’organizzazione dei quadri dirigenziali del Nord e quella meridionale. Al Nord le strutture territoriali sono più efficienti non perché il personale sia particolarmente formato, ma perché vi sono più mezzi a disposizione. Questo è dimostrato dal fatto che tanti nostri dirigenti sono figure di riferimento quando vanno nell’Alta Italia, non solo per preparazione, ma anche per quella disponibilità umana che li mette in grado di integrarsi ottimamente con le popolazioni di riferimento. E va detto ancora che da noi i dirigenti devono muoversi, come dire?, su strade interpoderali, mentre al Nord sono a disposizione autostrade. Come dire, che siamo al solito discorso delle strutture, che da noi latitano anche in questo specifico contesto, con la solita motivazione che mancano le risorse. Chissà perché quest’ultime debbano sempre prendere la strada del Nord, bypassando quelle del Sud, con addebito alla classe dirigente. La quale ultima avrà pure tante pecche, ma non quelle di impedire lo sviluppo delle zone nelle quali operano. C’è di vero che anche l’organizzazione degli enti territoriali va ripensata in modo che sia in linea con le mutate esigenze delle collettività amministrate. Ma, questo è un altro discorso, che non deve servire da alibi per tenere il Meridione all’angolo della programmazione nazionale.