Chi tocca muove, dice un vecchio cartello affisso sui pali della luce elettrica. E’ quello che succede in tema di liberalizzazioni, tema che fa secco chi osa proporlo. Da decenni assistiamo alla danza delle liberalizzazioni proposteci in diverse sanse, ma mai approdate sul terreno della concretezza. Tanti i governi e i partiti che si sono cimentati in materia, finendo col ritirare precipitosamente ogni proposito di rendere veramente il mercato più libero e sottratto ai tanti laccioli che impediscono il decollo delle attività. Ci ha provato sinanche un governo che si definiva ultraliberale, quello di Silvio Berlusconi, che aveva messo le liberalizzazioni al centro del suo programma. Per ultimo, ha fatto un timido tentativo anche quello guidato dal prof. Monti, provocando reazioni furibonde, con il risultato di far rientrare precipitosamente ogni proposito di portare in campo qualche novità. Questo il preambolo. Nella sostanza non si capisce il senso pratico delle liberalizzazioni presenti nel calendario italico dei facili annunci. Prendete la liberalizzazione delle edicole, per citare una categoria che fa parte della nostra famiglia giornalistica. Non si capisce come liberando le edicole l’economia possa conseguire qualche vantaggio! Perché allora non consentire alle edicole di vendere altri prodotti in affiancamento alla attività tradizionale? O di vendere i giornali che vogliono? Prendiamo il caso della liberalizzazione della vendita dei giornali, che ora è possibile acquistare anche in altri ambiti al di fuori della rete delle tradizionali edicole. Si diceva che questo provvedimento avrebbe consentito di vendere più giornali. Pia speranza subito andata in frantumi, perché il risultato è stato l’opposto: meno giornali.
Prendiamo tutte le altre liberalizzazioni avvenute nel campo bancario, assicurativo, della distribuzioni del gas o dell’energia elettrica: tutto è rimasto come prima in quanto ai prezzi. Perché la concorrenza non ha prodotti vantaggi per il consumatore per il fatto che sostanzialmente tutti i gestori fanno cartello, rincorrendosi a vicenda per ottenere solo vantaggi per il bilancio aziendale e non per i consumatori. Quanto sopra evidenziato porta a concludere che le liberalizzazioni devono essere fatte in un programma organico e non a spezzatino, con il risultato di determinare una frammentarietà che determina pochi vantaggi allo stesso Stato proponente e nessun elemento di utilità per i cittadini consumatori. Una liberalizzazione che non deve mirare a fare cassa, ma a cercare soluzioni che rendano davvero libere, agili e trasparenti le attività che si vogliono mettere nel carnet di programma. E, inoltre, bisogna smetterla di parlare di liberalizzazioni come se l’argomento rappresenti la foglia di fico di altre inadempienze. Prima di pensare alle liberalizzazioni occorre cambiare le regole complessive del mercato, aggiornandole alle mutata realtà dei mercati. Noi, in Italia, andiamo ancora in cinquecento, mentre abbiamo davanti le autostrade. Ecco questo è argomento che potrebbe trovare l’intesa bipartisan, cioè di tutti, perché insieme si possono superare le resistenze corporative e determinare organicità all’interno dei provvedimenti. Pensate davvero che questo sia possibile nell’Italia rissaiola? Illusorio!