Non è vero, come si è portati correntemente a credere, che Silvio Berlusconi è caduto per mano della sinistra, di Bersani, Di Pietro o più recentemente a seguito del sabotaggio presunto della cancelliere tedesca Merkel. I nemici del Cavaliere sono nati e cresciuti proprio nella casa del fondatore di Forza Italia, il quali li ha scoperti e valorizzati sino al punto da portali sui massimi gradini istituzionali. Prima Bossi nel 1994 ( quando gli ha tolto la fiducia in Parlamento) e poi Ferdinando Casini e Gianfranco fini gli hanno reso prima difficile la vita e, poi, gambizzato (politicamente parlando, si intende) proprio nel momento delle sue maggiori difficoltà. Questi solo i riferimenti più eclatanti, per non parlare della negazione dell’appoggio di suoi ex otto parlamentari di Forza Italia, con Gabriella Carlucci in testa, che sono passati sulla sponda dell’opposizione nelle ultime vicende parlamentari. Per non parlare di Beppe Pisan, Claudio Scaloja e Antonio Martino, che hanno fatto i capricciosi, dopo che il Cavaliere li ha incoronati, forse immeritatamente, ministri. Si rimprovera a Berlusconi la mancata realizzazione del suo programma elettorale, tutto impostato su un liberalismo che avrebbe dovuto salvare l’Italia e dato il motore giusto all’economia. Programma sottoscritto a piene mani da tutti i partiti che allora, a vario titolo, facevano parte dell’arco del centro destra, insieme alla Lega dell’imprevedibile Bossi. E non è riuscito a realizzarlo neppure quando nel 2008 ha conseguito una vittoria bulgara, rafforzata successivamente dalle affermazioni nelle regionali e consultazioni locali varie. Non entriamo nei particolari per evidenziare eventuali colpe del Cavaliere, che oggettivamente ci ha messo del suo per rendere il proprio cammino politico difficile, anche se va detto che il lavoro di accerchiamento dei cosiddetti poteri forti lo hanno costretto alla fine a mettersi da parte.
Non è vero che non ha funzionato il bipolarismo, che per la verità è stato a lungo propagandato, difeso e realizzato già prima da Walter Veltroni quando era alla guida del Pd e a seguito della caduta del governo Prodi sostenuto da ben dodici partiti, che avevano determinato una frammentazione paurosa, sconcertante. Il discorso, al solito, diventa di carattere morale prima ancora che politico. E’ possibile cambiare idea in corsa, dopo che si è chiesto agli elettori di votare per un certo raggruppamento e precise espressioni personali? E’ questo è il punto della questione. E’ questa la ragione che molte maggioranze vanno in crisi, anche a livello comunale. Prendiamo il caso del candidato sindaco, che pure fa riferimento ad altra legge elettorale. Si dice che l’Amministrazione non può andare in crisi perché il primo cittadino è eletto dal popolo. Bugie, perché basta una mozione di sfiducia per mandarlo velocemente a casa. E’esattamente quello che accadeva prima, quando il Sindaco veniva indicato dai partiti dopo le elezioni, a capo di una coalizione. Insomma, il Sindaco prima o dopo può essere sfiduciato se viene svilito, disatteso il patto elettorale. Questo è il punto. Se è vero che il parlamentare non ha vincolo di mandato, è altrettanto vero che il suo posizionamento non può essere ballerino e tradire così il senso del voto elettorale.